Non posso non riflettere su quello che sta capitando per la situazione vaccini e COVID-19.
Io credo che i complotti che “spiegano” importanti eventi siano figli dell’ansia. Dare un senso agli avvenimenti ci spinge ad organizzarli in una narrazione coerente. Persone che credono che il vaccino si attiverà con la tecnologia 5G per ammazzarci tutti. Cospirazioni politiche, crisi economica voluta dai Big Pharma, Grande Reset per sovrappopolazione mondiale. Microchip sottocutanei, nanotecnologie innestate a nostra insaputa, Green Pass per dividere la popolazione e ghettizzarci in una dittatura sanitaria…
Partiamo dal chiederci: siamo mai stati sulla Luna? L’11 settembre e l’assassinio di JFK sono stati organizzati dalla Cia? Lady Diana è stata uccisa dai Servizi Segreti? I governi spruzzano le scie chimiche dagli aerei per uccidere la popolazione? Queste sono alcune delle principali teorie del complotto. Fantasiose e sicuramente creative spiegazioni alternative di eventi reali che rappresentano la quotidianità come cospirazioni da parte di forze maligne, potentissime, addirittura sataniche.
Queste spiegazioni hanno molto seguito, quasi il 25% della popolazione, aumentato oggi sicuramente a causa delle fake news sui social network.
Rob Brotherton, ricercatore in psicologia alla Columbia University e fondatore del sito conspiracypsychology.com, nel saggio Suspicious minds: why we believe conspiracy theories (Menti sospettose, perché crediamo alle teorie del complotto, Bloomsbury, pp. 304, euro 18,66 Suspicious minds) ce ne parla approfonditamente cosi:
«Chiariamo subito: credere a queste teorie non è una cosa da pazzi. Tutt’altro: sono avvincenti, costruite in maniera ingegnosa. E soddisfano in modo egregio certi bisogni che in alcuni sono più pressanti che in altri.
Ad esempio la necessità di dare un senso a ciò che accade, di ridurre la complessità del mondo. Per lo psicologo sociale Viren Swami, dell’Anglia University, è anche colpa dell’amigdala, la parte del cervello che ci fa reagire di fronte alle minacce: l’incertezza e l’ansia per il futuro la rendono iperattiva, e ciò spinge il cervello a un’incessante rianalisi delle informazioni a disposizione, nel tentativo di organizzarle in una narrazione coerente che ci faccia capire cosa sta succedendo, da chi siamo minacciati e come dovremmo reagire.
E poi, certo, conta anche il desiderio di sentirsi più perspicaci del “gregge” che si accontenta delle spiegazioni ufficiali delle cose. Chi sposa una teoria ha alte probabilità di credere anche alle altre e per giunta si tratta di convinzioni granitiche.
Le teorie del complotto non solo sono immuni alla confutazione, ma se ne alimentano. Se una cosa sembra una cospirazione, lo è. Se invece non sembra una cospirazione, allora lo è ancora di più. Fa pensare che chi voleva coprirla abbia fatto bene il suo lavoro.
Le prove che contraddicono la teoria sono viste come atti di disinformazione dei cospiratori. Ossia prove del complotto stesso».
Non se ne viene fuori!
Ma come nascono le teorie del complotto?
Rob Brotherton ce lo spiega così: «Dall’ignoranza. O meglio: da lacune nella comprensione di un evento o di un fenomeno. Sono narrazioni alternative costruite partendo dai dati che mancano dalle versioni ufficiali o che le contraddicono. I complottisti prendono anomalie irrilevanti, insufficienti da sole a minare la spiegazione ufficiale, e le cuciono insieme in una narrazione coerente, trasformandole in segni di un’unica cospirazione».
Prendiamo le foto della missione Apollo: i complottisti prendono indizi come la bandiera che sembra garrire sulla Luna, in assenza di vento o atmosfera. In realtà la bandiera era stata fissata su una struttura a L rovesciata proprio per tenerla su.
Ma nei blog complottisti nessuno ci crede.
«Quella del finto allunaggio non è solo una delle teorie del complotto più diffuse sul web, ma è anche una specie di “cavallo di Troia” con cui il complottismo si fa strada nelle menti. Viren Swami ha trovato che l‘esposizione a questa teoria è sufficiente ad aumentare la propensione a credere alle altre. E un potere simile, come hanno mostrato gli psicologi Karen Douglas e Robert Sutton dell’Università di Kent, lo ha anche la teoria dell’uccisione di Lady Diana da parte dei servizi segreti inglesi».
Alla domanda, il complottismo è cresciuto con internet?
Rob Brotherton ci dice «Su internet, dove è facile far girare fandonie ma anche essere sbugiardati, le teorie del complotto hanno subìto una mutazione genetica: oggi tendono ad essere più vaghe e meno circostanziate che in passato. Il complottista da web spesso si limita a evidenziare i punti critici delle versioni ufficiali di un evento e insinuare che qualcuno non stia dicendo la verità. Lo si vede soprattutto con la teoria dell’11 settembre come “inside job”. Tante insinuazioni e allusioni alle lacune della versione ufficiale, ma poche spiegazioni davvero alternative».
Ma perché si crede che il governo Usa abbia avuto un ruolo attivo, o abbia saputo in anticipo e non sia intervenuto per fermare Al Qaeda? Una prima risposta è la cosiddetta fallacia della proporzionalità.
«Ci aspettiamo che a causare eventi di grandi proporzioni siano entità altrettanto grandi. Ma non è detto che sia per forza così.
Credere che le Twin Towers siano state tirate giù da una manciata di terroristi è in effetti difficile quanto credere che nel 1963 l’uomo più potente del Pianeta sia stato ucciso da un pazzoide isolato come Lee Harvey Oswald. Una relazione così sproporzionata tra causa ed effetto spaventa. Preferiamo pensare di vivere in un mondo prevedibile».
Quando gli eventi sono così importanti, inoltre, ogni piccola coincidenza diventa «prova» a supporto della tesi cospiratoria.
Altra base fondamentale per il pensiero complottista è quello che in psicologia è chiamato errore di attribuzione: «È la tendenza ad attribuire certi eventi alle caratteristiche personali degli altri e alla loro volontà piuttosto che al caso o a fattori esterni. Si finisce così per pensare che esistano cure contro le malattie peggiori, ma che Big Pharma le tenga nascoste per continuare a lucrare sui farmaci.
Questi errori di valutazione possono farli tutti. «Sono solo l’accentuazione di normali processi mentali che tutti condividiamo. Attaccare i complottisti significa fare come loro: considerare errori comuni come la colpa di un dato gruppo di persone».
In buona sostanza, quando ci troviamo davanti a qualcuno che la pensa diversamente da noi, teniamo presenti questi punti fondamentali sulle differenze tra complotti reali e fantasticati:
I complotti reali:
- Hanno un focus preciso e un fine facilmente riassumibile
- Coinvolgono un numero limitato di attori
- Sono messi in pratica in modo imperfetto, perché la realtà è imperfetta
- Terminano una volta scoperti e denunciati, cosa che normalmente avviene dopo un periodo piuttosto breve, anche se gli effetti possono persistere a lungo
- Non sono raccontabili senza la loro epoca: sono immanenti a una fase storica e diventano passato insieme a essa
I complotti fantasticati:
- Risultano “sfocati” e dispersivi, perché hanno il fine più vasto immaginabile: dominare, conquistare o distruggere il mondo.
- Coinvolgono un numero di attori potenzialmente illimitato, che cresce a ogni resoconto, dato che chiunque neghi l’esistenza del complotto è presto denunciato come complice. Secondo ogni logica, più persone sono al corrente del complotto e più quest’ultimo è instabile e a rischio fallimento. Soltanto nella forma mentis cospirazionista, che rovescia la logica dei complotti reali, un complotto è tanto più solido e destinato al successo quante più persone ne fanno parte
- Il loro presunto svolgimento è coerentissimo, perfetto, tutto è attuato secondo i piani e nel minimo dettaglio, tutto fila liscio. Qualunque cosa succeda era stata prevista. Se qualcosa sembra essere andato storto è perché doveva sembrare che andasse storto.
- Proseguono, vanno avanti indefinitamente, anche se descritti e denunciati in innumerevoli libri, articoli e documentari.
- Sono astorici, trascendono ogni epoca e contesto. Sono in corso da decenni, secoli, millenni.